Questo articolo non vuol essere una disamina esauriente sullo Zen, ma tutt’altro, un semplice e divulgativo approccio per mostrare ai neofiti le sue origini, la storia e lo sviluppo. Si parla tanto di Zen nel mondo occidentale, spesso a sproposito. Essendone molto affascinato, ho deciso di fare un’esperienza in un monastero Soto Zen nello Shikoku, Giappone, che potete leggere qui. Perché non basta leggere libri, articoli, guardare video, per capire bisogna andare alla fonte e sperimentare di persona. Ma è anche vero che per gustare meglio ciò che ci approntiamo a esperire, è bene sapere con cosa abbiamo a che fare, così da cogliere ogni singolo dettaglio senza farci sfuggire niente.
Tanti oggigiorno hanno in bocca la parola Zen. Molti non sanno neanche di cosa stiano parlando. Lo Zen, innanzitutto, è una scuola buddista che ha origini nel buddismo cinese Mahayana, poi diffusasi in Giappone con il nome di Zen. Ma vediamo più nel dettaglio la questione.
Buddismo Zen: storia
“Una speciale tradizione esterna alle scritture (教外別傳)
Quattro sacri versi di Bodhidharma
Non dipendente dalle parole e dalle lettere (不立文字)
Che punta direttamente alla mente-cuore dell’uomo (直指人心)
Che vede dentro la propria natura e raggiunge la buddhità (見性成佛)”

Origini
Innanzitutto c’è da chiarire che lo Zen non è una peculiarità giapponese, anzi, nel Sol Levante viene riconosciuto come scuola a sé solo nel XIII secolo. Prima si limitava a circolare all’interno di scuole buddiste come un extra. Inoltre, esistono forme di Zen in Vietnam (conosciuta col nome di Thiền) e in Corea (chiamata Sòn). Ma andiamo alle sue radici in Cina, dove ha il nome di Chan. L’origine di tale dottrina è fatta risalire al mitico Bodhidharma, monaco buddista indiano (probabilmente nato nell’attuale Iran) che nel V secolo si reca in Cina a diffondere la sua disciplina, soprattutto nel monastero di Shaolin.
Di questo Bodhidharma non sappiamo molto, le fonti su di lui sono abbastanza tardive, c’è chi dice fosse un brahmano di famiglia e che avesse abbracciato il buddismo Mahayana essendone rimasto affascinato. Giunto in Cina per diffondere le sue conoscenze, basate principalmente sul dhyana (termine sanscrito per meditazione, contemplazione) sotto la forma del biguan (“guardare il muro”, ovvero meditare a occhi aperti di fronte a una parete) e la recita del nome di Buddha. Pare che inizialmente non ebbe molto successo e solo pochi discepoli lo seguirono, il cui più famoso è Huike, considerato il secondo patriarca del buddismo Chan.
Il monastero di Shaolin-si
Bodhidharma è inoltre associato, secondo fonti successive, al monastero di Shaolin-si e considerato il fondatore dello stile marziale Shaolinquan. Vedendo i monaci pigri e appesantiti da una vita sedentaria che li rendeva intorpiditi durante la meditazione, insegna loro tutta una serie di esercizi ginnici, respiratori e di combattimento affinché il loro corpo si tonifichi, irrobustisca, la loro energia vitale sia sotto il loro controllo e la mente diventi libera dei pensieri. Sebbene sia chiaro ormai che la figura di Bodhidharma sia stata sovrapposta a quella di altre, è tuttora considerata come le creatrice dei vari stili marziali tradizionali del monastero di Shaolin-si. In definitiva, sebbene non ci siano certezze sulla nascita del buddismo Chan, possiamo dire con sicurezza che si sviluppa dal VI secolo in poi basandosi sulla pratica della meditazione, sia essa biguan (guardare il muro) o zhiguan (meditazione a occhi chiusi e discernimento) tralasciando le scritture (ma non rigettandole del tutto).
Etimologia
Due parole sul significato del termine Chan. Si tratta semplicemente del tentativo di imitare il suono della parola sanscrita dhyana con un ideogramma. Sappiamo dal mio articolo sullo yoga tradizionale cosa sia il dhyana: contemplazione, meditazione. È uno degli 8 anga dello yoga classico di Patanjali, il settimo prima del samadhi, ovvero l’estasi suprema. Con questo termine si vuol dare enfasi alla pratica della meditazione, che era già presente sia nel buddismo Mahayana (ad esempio nella scuola Tiantai), a discapito della recitazione dei sutra (che ripeto, non vengono rigettate ma semplicemente acquisiscono un ruolo minore) ma la troviamo anche nel buddismo Theravada e nel taoismo.
Di fatto, lo Zen deriva dal Chan che a sua volta deriva dal dhyana induista. Il termine dhyana, di per sé, non indica una scuola precisa, ma solo la pratica meditativa. Termine già usato nei Veda e nelle Upanishad con il significato di contemplazione, meditazione, e ripreso dai jainisti e buddisti, soltanto con la Bhagavad Gita prima e gli Yoga Sutra di Patanjali poi, acquisisce caratteristiche tecniche più definite. Così il Chan (e poi lo Zen), rifacendosi a questo termine e alla pratica che indica, hanno fatto della meditazione il loro centro.

Lo Zen in Giappone
“Se non riesci a trovare la verità là dove sei, in quale altro luogo speri di trovarla?”
Dogen
Diffusione
Le pratiche di meditazione Chan, dette zuochan in cinese, sono entrate in Giappone grazie ai monaci buddisti Tendai che, durante i loro viaggi in Cina, hanno appreso queste discipline e le hanno incorporate nel loro quotidiano, più o meno nel IX secolo. Si tratta però di un processo che ha relegato la pratica zazen (traduzione di zuochan) all’interno della scuola Tendai. Nel XII secolo il monaco Eisai si reca in Cina con l’intenzione di proseguire per l’India e ritrovare gli antichi insegnamenti di Buddha, ma viene bloccato dalle autorità cinesi per via dei confini instabili. Trovato un maestro, apprenderà la dottrina Chan ottenendo l’ordinazione completa e il certificato di illuminazione.
Rientrato poi in Giappone, fonderà a Kyoto il monastero Kennin-ji. Gli sarà impedito, tuttavia, di insegnare solo lo Zen che dovrà affiancare la dottrina Tendai e quella esoterica. Viene comunque considerato il padre della scuola Zen Rinzai. Soltanto nel XIII secolo vengono fondati i primi monasteri Zen, sotto la spinta di monaci cinesi missionari. Nello stesso periodo Dogen, un monaco giapponese discepolo di Eisai, dopo essere stato in Cina e aver ricevuto il certificato di illuminazione e il lignaggio di trasmissione, si trasferisce nel monastero di Anyo-in nella periferia di Kyoto insegnando esclusivamente lo Zen. Nasce così la scuola Zen Soto.
Le scuole Zen
Lo Zen si divide in varie scuole che derivano da altrettante scuole cinesi. Di fatto lo Zen, inizialmente, è un calco del Chan cinese in tutto e per tutto, soprattutto per quanto riguarda il lignaggio e la trasmissione. Anche nel buddismo Chan, come in quello Zen, viene riconosciuto il raggiungimento dell’illuminazione da parte di un monaco con un certificato ufficiale. Roba che a noi occidentali fa sorridere non poco.
Zen Rinzai
Come abbiamo visto, il Rinzai viene portato in Giappone da Eisai e deriva dalla denominazione Linji cinese fondata da Linji nel IX secolo. Soltanto con i monaci missionari cinesi acquista una sua autonomia dalla scuola Tendai: Lánxī Dàolóng, fondatore, nel 1253, del monastero Kenchō-ji a Kamakura; Wùān Pǔníng, abate del tempio Kennin-ji a Kyoto; Dàxiū Zhèngniàn che fondò il monastero Kinpōzan Jōchi-ji a Kamakura; infine Wúxué Zǔyuán che fu l’abate del monastero Engaku-ji a Kamakura. La scuola Rinzai ha 19 sotto scuole che prendono il nome dal tempio in cui sono praticate. La peculiarità di questa scuola, oltre alla pratica dello zazen, è l’uso dei koan, che sono frasi paradossali che aiutano a raggiungere lo shock intellettuale necessario per il raggiungimento del satori (illuminazione o risveglio).
Il risveglio è immediato e improvviso. L’assurdità dei koan (un classico esempio è: com’è il suono di un applauso con una mano sola?) rispecchia quella della vita, che è insolvibile e inesplicabile ed è solo una perdita di tempo il cercare di comprenderla razionalmente. La scuola Rinzai viene adottata nel Giappone medievale dai samurai (e quindi dagli shogun) mentre quella Soto rimane a livello popolare. Questo ha fatto sì che al suo interno si sviluppasse la pratica delle arti marziali che ha portato allo sviluppo del bushido, il famoso codice di condotta, simile a quello cavalleresco europeo.
Zen Soto
Fondata da Dogen nel XIII secolo, è la diretta trasmissione degli insegnamenti della scuola Chan cinese Caodong. È in assoluto la scuola più diffusa, con quasi 15000 monasteri all’attivo. Si basa sulla sola pratica dello zazen come strumento per raggiungere il satori. Questa è fatta senza “sostegno”, ovvero senza concentrarsi su un oggetto particolare (un punto, il respiro o un mantra) ma segue il concetto del shikantaza, del solo stare seduti, coltivando una generica consapevolezza, aprendo i sensi e lasciando scorrere i pensieri senza intervenire o farsi trascinare. Questa semplicità di dottrina e di pratica ha fatto sì che si diffondesse facilmente tra il popolo e le caste meno abbienti.
Altre scuole Zen
Ci sono altre scuole Zen, ma meno conosciute e diffuse. Una, la Fuke, è stata chiusa con decreto imperiale nel 1871. Nata da un movimento di ex samurai itineranti chiamati komuso, di scuola Rinzai, elemosinavano da vivere suonando il flauto con la testa coperta da un cappello fatto di canne. Questa pratica si chiamava suizen ed era il loro modo di fare zazen.
L’altra scuola, tutt’ora esistente, è chiamata Obaku, fondata dal monaco cinese di scuola Linji, Yǐnyuán Lóngqí, nel 1654. Di fatto è molto simile alla Rinzai, con l’aggiunta di alcune peculiarità della scuola cinese di origine apportate dal fondatore, tipo la pratica del nenbutsu (la ripetizione del nome di Buddha Amitabha) tipica della scuola buddista della Terra Pura e un uso di un numero maggiore di sutra.
Conclusione
Questa breve e semplice disamina si conclude qua. L’ho scritta principalmente per dare delle notizie di base a chi è interessato allo Zen, che può poi approfondire in altro modo, e soprattutto per chi legge l’articolo sulla mia esperienza nel monastero Zen nello Shikoku, in Giappone, che potete trovare qui.