Nell’ultimo secolo il buddhismo ha goduto di ottima fama qua in Occidente, sia grazie a filosofi e letterati come Schopenhauer, Nietzsche e Thoreau; alla diffusione dello Zen negli USA e in Europa dagli anni ‘50, soprattutto grazie agli scritti di personaggi come Suzuki; più recentemente per merito di figure come il Dalai Lama e della corrente buddista giapponese lanciata dalla Soka Gakkai di Makiguchi negli anni ‘30, largamente diffusa in Italia con 70000 praticanti. Tutte queste realtà, però, hanno contribuito soprattutto a creare un’immagine distorta del buddhismo, lontana dalla realtà asiatica, molto idealizzata e astratta. In Occidente si considera il buddhismo, infatti, non come una religione ma come una filosofia di vita, impregnata di psicologia moderna, basata unicamente su precetti morali, introspezione, meditazione. Ma il buddhismo è ben altro. Mi è capitato di discutere innumerevoli volte con persone ignoranti riguardo a questa religione, ho ritenuto fosse arrivato il momento di scrivere un bell’articolo chiarificatore.
Premessa
In questo articolo tratterò solo ed esclusivamente dei principi delle varie scuole buddhiste. Per uno studio sulla vita di buddha, la storia e la diffusione del buddhismo, rimando qua.
Io non sono buddhista. Non sono neanche cristiano, musulmano, induista, zoroastriano o bahai. Sono libero. Certo, sono nato in un paese cattolico e per anni ho frequentato attivamente la chiesa e il mondo cattolico. Poi me ne sono debitamente allontanato e non ho più abbracciato nessuna confessione. Trovo che le religioni, qualsiasi esse siano, abbiamo tutte qualcosa di interessante da prendere e fare proprio e qualcosa di totalmente malato da evitare come la peste. Non esiste la religione perfetta. Anzi, se fosse per me, le religioni neanche esisterebbero. Questo non vuol dire che io sia materialista o ateo, tutt’altro, ma sono per la libertà spirituale, la ricerca, la sperimentazione personale, al di là della morale, delle regole e dei modelli preconfezionati. Sono anche per la libertà di scelta e non credo che una strada sia superiore a un’altra. Ma una cosa ritengo estremamente importante: l’onestà intellettuale. Con questo approccio libero vi propongo questo articolo.
I precetti del buddhismo
“Oh monaci, il Tathāgatha, il Venerabile […] ha fatto l’esposizione dettagliata della quattro nobili verità. E di quali quattro? Della nobile verità del dolore, della nobile verità dell’origine del dolore, della nobile verità della cessazione del dolore, della nobile verità della via che porta alla cessazione del dolore.”
Saccavibangha Sutra
Fondamenti
Innanzitutto il termine buddhismo è di recente coniatura e usato esclusivamente dagli occidentali. In Asia non esiste un’unica parola per esprimere questo concetto, in nessuno dei paesi originari di questa corrente religiosa. La traduzione dei termini nelle scritture buddhiste si deve intendere come “insegnamento del Buddha”. Uno dei termini usati è Buddha-sasana. L’insegnamento fondamentale alla base di tutte le scuole buddhiste è quello delle Quattro Nobili Verità (in sanscrito catvāri-ārya-satyāni), ovvero:
- La verità dell’esistenza del dolore (duḥkha). La vita degli esseri senzienti è impregnata dalla sofferenza: la nascita, la malattia, la vecchiaia, il desiderio di ciò che non c’è, la repulsione per ciò che non vogliamo, i dolori del corpo, le sofferenze della mente. Tutto è dolore.
- La verità sull’origine del dolore. Esso non è colpa del destino, di un dio, del mondo o del caso. Esso origina dentro di noi e nasce nella ricerca della felicità in ciò che è transitorio.
- Verità sulla cessazione del dolore. Esiste la possibilità di emanciparsi dal dolore, questa avviene lasciando andare l’attaccamento (tṛṣṇā) alle cose e alle persone e a quella scala di valori illusoria per cui ciò che è transitorio è più desiderabile. Questa stato di cessazione viene chiamato nirodha.
- La verità della via che porta alla cessazione del dolore. Esiste un percorso di pratica che permette di emanciparsi dal dolore. È il cammino spirituale da percorrere per avvicinarsi al nirvāṇa ed è detto Ottuplice Sentiero.
Queste Quattro Nobili Verità si ritrovano in vari discorsi del Canone Pali e del Canone Cinese e, secondo la tradizione, furono esposte da Buddha nel suo primo discorso a Sarnath, dopo che ebbe raggiunto il risveglio spirituale a Bodhgaya, e grazie alle quali si dette avvio al Dharma, ovvero alla dottrina buddhista. La ricorrenza di questo evento è celebrata nei paesi di tradizione Theravāda con la festa di Āsāḷha Pūjā. Da altri è invece considerato il punto d’inizio della prima comunità buddhista (Saṃgha), formata proprio da quei cinque asceti che lo avevano abbandonato anni prima sfiduciati, dopo essere stati a lungo suoi discepoli.

La via di mezzo
In questo discorso, inoltre, si evidenzia come la dottrina buddhista sia una via mediana, che si distanzia dagli estremi di un’ascesi martoriante, ma anche dal lassismo; allo stesso modo sta nel mezzo fra gli assolutismi e l’individualismo. Questo elemento è fondamentale in quanto è forte la tendenza di molti movimenti spirituali, sia passati che presenti, di basare il raggiungimento del risveglio su pratiche ascetiche estreme che sono spesso dannose per il corpo e la mente. Al tempo stesso, le religioni moderne si sono adattate al materialismo e secolarismo dilaganti, così come sono nate altre correnti spirituali decisamente lassiste, anche in campo buddhista (qualcuno ha detto Soka Gakkai?). In religioni come il cristianesimo, per esempio, non c’è nessun tipo di attenzione al corpo e all’ascesi, se non in certi ambienti elitari. Questo porta a un lassismo dei costumi e a una facilità nel perdere l’obbiettivo finale. Non è un caso che in religioni come il cristianesimo non ci siano forme di meditazione, se non in ambiti molto ristretti (tipo l’esicasmo).
L’Ottuplice Sentiero
La via per il nirvana, chiamata in sanscrito col nome di rya aṣṭāṅgika mārga, è composta otto semplici precetti da seguire. Anche essi sono stati esposti da Buddha durante il suo primo sermone tenuto a Sarnath e fanno parte delle fondamenta del buddhismo:
- retta visione
- retta intenzione
- retta parola
- retta azione
- retta sussistenza
- retto sforzo
- retta presenza mentale
- retta concentrazione
Retta visione
Riconoscere le Quattro Nobili Verità senza farsi distrarre dal fascino dei beni temporanei è avere una corretta visione della realtà. Tutto è transitorio e le Quattro Nobili Verità lo rendono evidente. Questa è la base per iniziare questo cammino.
Retta intenzione
La corretta visione della realtà deve essere accompagnata da un’altrettanta corretta intenzione. Non basta sapere come stanno le cose, bisogna agire di conseguenza volendo liberarsi dalla sofferenza nel modo giusto, imparando a padroneggiare le tṛṣṇā, ovvero gli attaccamenti.
Retta parola
Si deve essere responsabili di ciò che si dice e conformare ciò che si pensa con ciò che diciamo, lo stesso è per il nostro agire: deve essere in accordo con le nostre parole. Inoltre, ciò che pronunciamo, oltre a essere vero deve essere anche utile e non nocivo agli altri.
Retta azione
Il nostro agire deve essere motivato dal non attaccamento, dalla non bramosia. Quindi cose come la violenza, sotto ogni forma, o il furto non sono minimamente contemplate. Ma questo precetto non si limita a ciò: tutto quello che è spinto dall’attaccamento e la bramosia deve essere evitato.
Retta sussistenza
Vivere in modo equilibrato evitando gli eccessi, procurandosi il sostentamento usando modalità che non nuociono a nessuno. Queste modalità devono sempre collimare con il concetto di via mediana, ovvero senza esagerare negli estremi.
Retta sforzo
Lasciar andare gli stati non salutari per coltivare quelli salutari, confidando nella propria pratica buddhista perseverando con un corretto ed equilibrato impegno motivato dalla fede (śraddhā), che si ottiene grazie ai risultati conseguiti con la pratica.
Retta presenza mentale
Capacità di mantenere la mente priva di confusione, generata dall’attaccamento e dalla bramosia.
Retta concentrazione
Saper mantenere il corretto atteggiamento interiore, che porta alla padronanza di se stessi durante la pratica della meditazione (dhyāna), elemento fondamentale per tutte le scuole buddhiste.
Modalità
Benché questo Ottuplice Sentiero sia chiaro e facile da capire, si sono sviluppate diverse modalità, all’interno delle scuole buddhiste, per praticarlo. Alcune sostengono che questi precetti vanno praticati tutti insieme in modo da progredire in ognuno di essi un po’ per volta. Altre prediligono dividere questi precetti in diversi gruppi creando una spirale di elevazione che sale al procedere dai precetti più “bassi” a quelli più “alti”, il che implica il lavorare prima su quelli bassi. Il modello “immediato”, invece, tipico di scuole come quella Zen, sostiene la possibilità di trascendere tutti questi precetti immediatamente raggiungendo il risveglio. Un altra modalità dà importanza al percorso di crescita nel momento sostenendo che, una volta raggiunto un traguardo, tale mezzo vada abbandonato, secondo il principio per cui non si deve confondere il traguardo con la via.

Altri punti fondamentali
Oltre alle Quattro Nobili Verità e all’Ottuplice Sentiero, il buddhismo di tutte le scuole condivide altri aspetti fondamentali. Il primo è che ogni aggregato (fisico o mentale) è causa di sofferenza, o duḥkha (sia quando lo desideriamo ed esso non c’è o cessa di esistere, sia quando ce ne vogliamo allontanare e questo permane). Il secondo è che ogni aggregato, fisico o mentale, nasce e quindi è soggetto a decadenza e morte: tutto ciò che esiste è impermanente (anitya). Il terzo aspetto, conseguenza degli altri due, è che non esiste nessun io eterno e immutabile (dottrina dell’anātman). Con questo il buddhismo prende le distanze dall’induismo (e da tutte le religioni che credono in un’anima immortale). Questi insegnamenti, insieme a tanti altri, sono contenuti nei vari Canoni, ovvero nei sutra. Il primo passo sul cammino è, infatti, ascoltare la dottrina di Buddha (il Dharma) esposta nei sutra per acquisire fede negli insegnamenti. Per questo i monaci cantano i sutra tutti i giorni.

Karma e śunyātā
A questi aspetti va aggiunta la visione di una realtà intrecciata. Tutto ciò che esiste sottostà alla legge della causa ed effetto. Ogni azione genera conseguenze. Questa legge lega gli esseri alle illusioni e agli attaccamenti che costituiscono la base della sofferenza esistenziale. Questo concetto di coproduzione condizionata è chiamato pratītyasamutpāda e si lega a quello di karma. Questo termine, che significa semplicemente “azione”, sottomette tutto ciò che esiste a seguire i suoi precetti. Compiere un’azione genera conseguenze; azioni buone generano conseguenze positive mentre azione malvagie generano conseguenze negative, che influiranno le rinascite successive. Questa visione di realtà intrecciata, in cui tutti i processi e i composti sono strettamente interconnessi, è arricchita dalla credenza che tutto ciò che esiste non sottostia altro che alla vacuità (śunyātā), ovvero non esiste nessun proprietà intrinseca nei composti e nei processi che formano la realtà.
Gli Dei e il samsara
Per quanto Buddha non abbia mai parlato di un Dio assoluto e ci sia la generale convinzione che il buddhismo sia un movimento ateistico, in realtà tutte le scuole buddhiste confermano l’esistenza dei deva, divinità della cultura vedica induista. Essi sono presenti in tutti i canoni. I deva buddhisti, però, sottostanno alla legge del karma e la loro esistenza è condizionata dal saṃsāra, ovvero il ciclo della vita e delle rinascite. Considerando che per i buddhisti non esiste un’anima o un principio eterno e assoluto, cosa rinasca ogni volta e in che modalità e tempistiche è tuttora fonte di dibattito fra le diverse scuole. Essendo le divinità esse stesse schiave del saṃsāra, non sono capaci di offrire all’uomo la salvezza da esso, né un significato ultimo della propria esistenza. Non esiste, né è mai esistita, nessuna scuola buddhista al mondo che affermi, o abbia affermato, l’inesistenza delle divinità. La totale mancanza di centralità delle divinità nella tradizione buddhista ha fatto sì che molta gente pensi che si tratti di una non-religione, di una filosofia di vita atea.

I Tre Gioielli
Tutte le scuole buddhiste riconoscono l’essenziale ruolo dei Tre Gioielli: ovvero il Buddha (storico e trascendente), il Dharma (la dottrina) e il Saṃgha (la comunità monastica).
Buddha
La figura di Buddha o la buddhità in generale, sono elementi accettati in tutte le scuole buddhiste. Come venga visto questo Buddha, varia da scuola a scuola. Buddha è chi, tramite lo sforzo personale, ha raggiunto il risveglio. Grazie a ciò, ha posto fine al ciclo delle rinascite, ha eliminato ogni aspetto mentale negativo e ha inoltre raggiunto dei poteri spirituali. Per il Buddhismo Theravada, esiste solo un Buddha per ogni era storica, e nella nostra epoca c’è già stato Siddhartha Gautama. Gli altri possono al massimo diventare Arhat. Nel Buddhismo Mahayana, invece, chiunque può diventare Buddha e ne esistono tantissimi che formano una cosmologia complessa che, in parte, vedremo in seguito.
Dharma
Si riferisce alla dottrina di Buddha, ovvero i suoi insegnamenti, che sono stati raccolti nei sutra che formano i vari canoni. Si tratta di insegnamenti non dogmatici ma che vanno vissuti nella pratica. Sono un mezzo per raggiungere il nirvana, non verità assolute inconfutabili: una volta raggiunto il nirvana, non servono più. Dharma si riferisce anche alla legge universale che muove tutto ciò che esiste, sia a livello macrocosmico che quello individuale. In definitiva è la legge che dice il modo in cui sono realmente le cose. La dottrina di Buddha si basa su questa legge cosmica e personale.
Saṃgha
La comunità monastica, formata da uomini e donne, che seguono la dottrina di Buddha e i precetti che sono scaturiti da essa, come il vivere in castità e senza possedere niente (solo una ciotola per elemosinare il cibo e una veste). È il luogo migliore in cui crescere spiritualmente. Il Saṃgha è ciò che fa vivere il Dharma, lo preserva e lo trasmette. Senza la comunità monastica non esiste buddhismo. Permette ai laici di fare buone azioni aiutando i monaci, donando loro cibo, vestiti e tutto ciò di cui hanno bisogno. Il Saṃgha segue le regole monastiche dettate da Buddha (Vinaya) e funge da modello spirituale per le generazioni presenti e future. Fra le regole c’è l’obbligo di elemosinare il cibo; questo crea una dipendenza verso i laici e una relazione di mutuo soccorso. I laici provvedono ai beni materiali dei monaci mentre questi si occupano di diffondere ed elargire ai laici i beni spirituali.
Esiste un concetto più metafisico di Saṃgha: ovvero la comunità dei risvegliati, formata da tutti coloro che hanno raggiunto l’illuminazione, nel passato, presente e futuro. Un po’ come nel cristianesimo esiste la differenza fra la Chiesa terrena, fatta dagli uomini e la Chiesa Celeste, fatta dai santi.
Meditazione
Tutte le scuole buddhiste considerano la meditazione (a volte chiamata bhāvanā ovvero sviluppo mentale, altre volte dhyāna, l’allenamento della mente) lo strumento principe per raggiungere il risveglio. I metodi principali sono due: samatha (meditazione della tranquillità) e vipassana (meditazione dell’intuito o della visione profonda). Samatha stabilizza, concentra, ricompone e unifica la mente. Vipassana permette di vedere, esplorare, discernere le formazioni degli aggregati (fisici o mentali). Questi due metodi non sono separati; Buddha li considera come due stati complementari della mente, che possono essere raggiunti grazie alla meditazione. Da questi due metodi base si sono sviluppate innumerevoli tecniche in seno a ogni scuola.
Il buddhismo Theravada
“Così vivendo, posso raggiungere il limite della sensazione, dove la mente non desidera i piaceri dei sensi”
Suttanipata
Principi
Theravada vuol dire “dottrina degli anziani”. Questa scuola si ritiene la più antica fra tutte, e quindi la più fedele agli insegnamenti di Buddha. Recenti studi hanno dimostrato che tale pretesa non ha fondamento e che la stessa scuola Theravada è stata ampiamente influenzata dalla Mahayana. Oltre ai fondamenti sopra elencati che sono comuni a tutte le scuole buddhiste (le Quattro Nobili Verità, l’Ottuplice sentiero, il concetto di karma, di sunyata, di samsara, l’esistenza degli dei e la meditazione come strumento principe), il Theravada ha dei suoi principi e sue regole peculiari. Innanzitutto si rifanno al Canone Pali, rigettando i sutra recitati dalle altre scuole, soprattutto quella Mahayana e sue derivate. I laici devono seguire i cinque precetti (astenersi dall’uccidere, dal rubare, dal mentire, dalla cattiva condotta sessuale e dal bere sostanze inebrianti) per acquisire i meriti per la vita futura, in cui magari potranno rinascere come monaci (solo questi, infatti, possono ottenere il risveglio o illuminazione).

Saṃgha
La divario fra monaci e laici è molto ampio, dove i laici riveriscono i monaci procurandogli spesso il cibo durante la questua mattutina. Chi ha assistito a questo tipo di cerimonia, che in paesi come Myanmar o Laos è molto facile da vedere, noterà come i fedeli laici attendono in ginocchio lungo la strada l’arrivo dei monaci, per riempire le loro ciotole di riso. Anche nel linguaggio vengono usate molte forme reverenziali verso i monaci. Questi vengono chiamati bhikkhu e bhikkhuni (le monache): si tratta del titolo che ricevono i monaci pienamente ordinati.
Nei paesi a maggioranza Theravada, c’è l’usanza di mandare i figli dopo i sette anni, soprattutto maschi, per un minimo di qualche mese a fare vita monastica. Le famiglie più povere ce li lasciano per tutto il percorso di studi, dato che è l’unico modo che hanno per far studiare i figli. Nonostante un ragazzo possa passare dieci anni dentro il monastero vivendo come un monaco, non è considerato tale se non dopo i 20 anni di età e dopo una cerimonia formale. I giovani aspiranti monaci sono chiamati a seguire 10 precetti (oltre ai classici cinque, ce ne sono altri: non diffondere i difetti della comunità buddista, non lodare se stessi o parlar male degli altri, non essere avaro, non nutrire rabbia, non parlar male di Buddha, del Dharma o del Saṃgha).

Regole monastiche
Una volta pienamente ordinati, le regole diventano 227 per i monaci e 311 per le monache. La disparità fra questi due gruppi è tutta a favore dei monaci. Alcuni di questi precetti sono: l’obbligo di elemosinare il cibo; il poter mangiare solo prima di mezzogiorno; vivere in castità; non toccare (né essere toccati) da donne (valido per i monaci maschi); il non poter stare da soli con una donna; non utilizzare denaro; non fare scambi; non dormire con i laici; non consumare alcol; non fare il solletico; non giocare con l’acqua; non accendere un fuoco (o permettere che si accenda); non lavarsi più di due volte al mese; non disperdere il seme o convincere qualcuno a disperdere il tuo seme, tranne quando si sogna; evitare contatto fisico sensuale con una donna, incluso baciare o tenersi per mano; se un bhikkhu dovesse insegnare più di cinque o sei frasi del Dharma a una donna, a meno che non sia presente un uomo ben istruito, deve essere confessato; non si deve insegnare il Dharma a chi è malato, chi ha in mano un ombrello, chi indossa sandali o scarpe; non si può urinare e defecare in piedi, sulle piante e nell’acqua.
La dottrina dell’analisi
Con l’avvento della modernità, non sono pochi i monasteri Theravada che hanno adattato le regole, ma ne rimangono ancora tanti che hanno questo approccio tradizionalista. Il metodo Theravada, infatti, si basa (o dovrebbe basarsi) sulla elaborazione analitica continua della vita, a discapito delle regole etiche e rituali. Quando, però, si viene a contatto con la realtà Theravada si nota che spesso la pratica si incentra più sul ritualismo e sulla morale che non sull’analisi.
Il buddhismo Mahayana
“L’assenza di afflizione è nirvana. E l’assenza di fenomeni mentali è l’altra riva. Questa riva esiste quando sei illuso. Non esiste quando ti risvegli. I mortali stanno su questa riva. Ma coloro che scoprono il più grande di tutti i veicoli non sono né su questa né sull’altra riva.”
Bodhidharma

Vacuità
Mahayana vuol dire “Grande Veicolo” e si riferisce specificatamente a dei sutra, ovvero al Prajñāpāramitā Sutra e al Sutra del Loto, che invece non sono riconosciuti come canonici dalla scuola Theravada (che viene per questo chiamata Hinayana, Piccolo Veicolo, in modo dispregiativo). In questi sutra si dà risalto alla già conosciuta dottrina della vacuità (śunyātā). Essendo tutto vuoto, privo di sostanzialità inerente, anche il nirvāṇa stesso perde il suo senso. Infatti Nagarjuna, massimo esponente della scuola Mahayana, dice:
«Il saṃsāra è in nulla differente dal nirvāṇa.
Il nirvāṇa è in nulla differente dal saṃsāra.
I confini del nirvāṇa sono i confini del saṃsāra.
Tra questi due non c’è alcuna differenza.»
Ovvero che fra lo stato di sofferenza e quello del risveglio, non c’è differenza; come a dire che il risveglio sia inutile (anche se non è così). Il focus si concentra sul capire la causa dei fenomeni e non più sul comprendere la verità della sofferenza. Questa è solo una dottrina parziale, che serve all’inizio (per questo considerata Hinayana); il passo successivo è quello della conoscenza della causa dell’essere. Questa seconda dottrina, secondo la scuola Mahayana, è stata insegnata da Buddha ma solo a una cerchia di eletti, che l’ha tenuta segreta per secoli per poi riportarla alla luce all’inizio della nostra era.

Differenze: approccio Theravada
Come abbiamo visto sopra, la scuola Theravada riconosce un unico Buddha per era storica (nella nostra è stato Siddhartha Gautama) e l’essere umano può al massimo aspirare a diventare un Arhat (che implica comunque il raggiungimento del nirvana). Ovviamente solo i monaci possono diventare Arhat. Il Buddha è un essere che, oltre ad aver raggiunto il nirvana, ha lasciato degli insegnamenti utili all’umanità (mentre un Arhat si limita a risvegliarsi e poi a estinguersi nel nirvana, senza una vera utilità per gli altri). Il Buddha, una volta morto, è uscito dal samsara, è entrato nell’estinzione (nirvana) e di lui rimane solo la dottrina. I bodhisattva (esseri destinati al risveglio) sono coloro che aspirano al raggiungimento del risveglio spirituale. Infine, sempre nella scuola Theravada, il Buddha del futuro, della prossima era, è il Buddha Maitreya, che allo stato attuale è ancora un bodhisattva.
Scuola Mahayana: buddhità
Nella visione Mahayana, invece, non solo il Buddha non si è estinto e continua a esistere in forma trascendente, ma non è solo, bensì accompagnato da una miriade di altri Buddha, sempre trascendenti. Infatti, tutti possiedono la natura di Buddha (Tathagatagarbha) e possono raggiungere il risveglio e il nirvana (non solo i monaci) ma, più di questo, possono diventare dei Buddha e contribuire al risveglio del mondo nella loro vita trascendente. L’esistenza di questa natura di Buddha in ogni essere contraddice quella della non esistenza di un Sé o di un’anima all’interno degli aggregati (fisici o mentali). Così, molti esponenti della scuola Mahayana, sostengono che questa dottrina è stata esposta per non spaventare i non buddhisti che si approcciano a questa religione e che in definitiva questa natura di Buddha è comunque un non-Sé.

Bodhisattva
Essendo lo scopo principe quello di aiutare gli esseri senzienti, la via principe non è tanto quella di diventare Arhat e raggiungere il nirvana, bensì risvegliarsi e rinascere con l’intento di agevolare gli altri a risvegliarsi. La scuola Theravada è accusata di egoismo, incentrata interamente alla propria salvezza individuale. È, infatti, in ambito Mahayana che si sviluppa il famoso concetto di compassione (karuṇā) verso tutti gli esseri viventi tipico del buddhismo. Ecco che, chi raggiunge il nirvana e vi rinuncia a entrare per salvare l’umanità (concetto chiamato bodhicitta), rinasce innumerevoli volte nel samsara ma senza esserne coinvolto, ovvero come maestro spirituale fino a diventare un essere trascendente dotato di poteri divini chiamato bodhisattva. Si crea così una specie di pantheon buddhista in cui spiccano bodhisattva “famosi” come Avalokiteshvara (che in Cina e in Giappone diventa una figura femminile chiamata rispettivamente Guan Yin e Kannon), Manjusri, Maitreya, Tara, Vajrapani, Prajna e Ksitigarbha.

Ognuno di questi bodhisattva cosmici, ha uno specifico ambito operativo (Avalokiteshvara è il bodhisattva della compassione, Prajna è la saggezza, Maitreya sarà il Buddha del futuro, Ksitigarbha è il protettore dei monaci e via dicendo). Vengono venerati in un modo analogo a quello dei deva (dei) dell’induismo o al pari dei santi del cristianesimo. Hanno dei loro culti e sutra. Vengono spesso raffigurati in forma di statue o dipinti, che vengono messe in specifici templi o zone all’interno del tempio a loro dedicate. Sembra quasi che il buddhismo Mahayana, in questo, abbia fatto un “passo indietro” rispetto all’idea rivoluzionaria del buddhismo delle origini tuttora supportata dalla scuola Theravada.
I vari Buddha
Come ci sono tanti bodhisattva, lo stesso vale per i Buddha. Siddhartha Gautama non era nient’altro che una mera manifestazione terrena dell’Eterno Buddha trascendente. Esso viene infatti visto, usando le parole del Dr. Guan Xin, come “una divinità onnipotente dotata di numerosi attributi e qualità soprannaturali … [Egli] è descritto quasi come una divinità onnipotente e invincibile”. Buddha diventa, quindi, nuovamente un “dio”, eterno, onnipotente, che si incarna a seconda delle esigenze. Ogni Buddha esistente nella tradizione Mahayana è l’impersonificazione di una delle qualità di questo “divino” e vive in un differente “paradiso” nel mondo trascendente. Addirittura, secondo la tradizione della Terra Pura, di stampo Mahayana, esiste un “luogo” in cui il devoto, con la semplice fede, devozione o la ripetizione del nome di Buddha, può accedere dopo la morte e avere le migliori condizioni per raggiungere la buddhità.

Paradisi e inferni
Ecco che nasce una complessa cosmologia, fatta di divinità eterne e onnipotenti, con paradisi in cui convivono Buddha, spiriti servitori, bodhisattva e devoti. In contrapposizione esistono svariati inferni in cui i “peccatori” si ritroveranno per scontare le loro pene prima di rinascere nel samsara. Il Buddha Gautama è in realtà il Buddha eterno, risvegliato da sempre, che in realtà non ha mai raggiunto l’estinzione (nirvana) e che è l’incarnazione del Dharma. Di fronte a ciò, dove sono le differenze fra il buddhismo un’altra qualsiasi religione poli o monoteista? Questo processo di deificazione del Buddha assomiglia molto a quello avvenuto a Gesù Cristo. I buddhisti contemporanei di scuola Mahayana (che ricordo include molte altre sotto-scuole come lo Zen, il buddhismo tibetano, la Terra Pura, il Chan) cercano di dare una spiegazione “psicologica” a questa cosmologia. In realtà i vari Buddha e bodhisattva non esistono in quanto tali, bensì sono degli archetipi, dei modelli che incarnano delle qualità da coltivare per aspirare alla buddhità.

Vijñānavāda
Quasi in contrapposizione alla dottrina del Buddha eterno e dei vari bodhisattva e Buddha, questo insegnamento sostiene che tutto ciò che esiste in realtà non è altro che illusorio e inconsistente. Quello che vediamo e sperimentiamo non è altro che una proiezione della mente e niente esiste al di fuori di essa. Basandosi sulla teoria descritta sopra che esisteva anche nel buddhismo delle origini dell’interdipendenza di ogni aggregato (se esiste qualcosa è perché esiste qualcos’altro), l’origine del tutto non è altro che il flusso delle nostre esperienze mentali. Quando ci rendiamo conto che questo flusso è vuoto, non sottostà a nessuna dinamica soggetto-oggetto che siamo soliti attribuirgli, si raggiunge lo stato di non dualità ovvero il nirvana. Questa dottrina ha varie interpretazioni all’interno del movimento Mahayana, alcune più o meno nichiliste.
Upaya
Ovvero i “mezzi abili” che, consciamente usati, portano verso il risveglio. Nella scuola Mahayana gli insegnamenti di Buddha sui mezzi, le tecniche e le vie che possono essere utili per risvegliarsi, possono essere adattate dal singolo secondo le proprie esigenze. Non solo, è permesso l’utilizzo di qualsiasi espediente che ti faccia avvicinare all’illuminazione, anche se non considerato “vero”. Ogni mezzo, però, non è verità assoluta ma solo uno strumento valido finché è efficace nel momento, da abbandonare quando non serve più (o diventa addirittura un ostacolo). Inoltre, questi espedienti posso essere insegnati anche agli altri, in quanto upaya è anche la capacità di adattare il proprio messaggio al pubblico. In questo il Mahayana è ancor meno dogmatico del Theravada e ribadisce l’importanza della pratica e dell’individualità del cammino spirituale. Non è un caso che all’interno di questa scuola ne siano nate altre anche molto diverse fra di loro.
Il buddhismo Vajrayana
“Le donne sono il cielo, le donne sono l’insegnamento (dharma).
Candamaharosana Tantra
Le donne infatti sono i più alti di austerità (tapas).
Le donne sono il Buddha, le donne sono il Sangha.
Le donne sono la Perfezione della Saggezza.”

Il Veicolo di Diamante
La scuola Vajrayana (ovvero Veicolo di Diamante) nasce intorno al VI – VII secolo in India, in seno a quella Mahayana e ne sposa i principi. Ad essi vi aggiunge altre dottrine che derivano dal tantrismo induista e dallo sciamanesimo. Per questo viene chiamato anche buddhismo tantrico, buddhismo esoterico o Mantrayana, dato che si usano i mantra. Questa scuola si basa sul concetto di vajra (tradotto come diamante o folgore) che simboleggia la verità ultima infrangibile, immutabile e autentica, che corrisponde alla vacuità, ovvero all’essenza di tutte le cose. Il diamante è anche la mente illuminata: chiara, limpida, vuota (trasparente). Il Vajrayana è quindi il terzo veicolo, dopo la Hinayana (Theravada) e il Mahayana.

Canone tibetano: i Tantra
Questa scuola è molto diffusa in Tibet, Bhutan, Mongolia e Giappone ma non solo. Ha sviluppato un suo canone che è arricchito da dei testi esoterici chiamati Tantra. Questi (il cui termine significa “trama” o “cornice”) sono considerati insegnamenti esoterici segreti tramandati per via orale da secoli. Per questo, il Vajrayana può essere appreso esclusivamente da un maestro in modo diretto. In questi Tantra, si sostiene che esiste un’autentica natura che soggiace alla realtà (come una trama, appunto), sia essa relativa al samsara o al nirvana e che questa natura corrisponde alla vacuità (sunyata). Quando questa vacuità si manifesta, lo fa attraverso l’illusione dell’esistere. Conoscere la vacuità soggiacente ai fenomeni è raggiungere il risveglio. Il tantra è la via che conduce a questa consapevolezza.

Pratiche
Mentre il Mahayana si “limita” a usare la meditazione e lo studio dei sutra come strumenti per raggiungere il risveglio, il Vajrayana aggiunge l’uso dei Tantra (sia lo studio dei testi omonimi che l’uso di pratiche tantriche) come “mezzo abile” per raggiungere la purificazione del corpo e di ciò che lo circonda (tecniche descritte nei Tantra inferiori o esterni) e a trasformare la dimensione contaminata in pura (Tantra superiori o interni). Tale percorso della Via del Diamante può essere intrapreso solo tramite delle iniziazioni dispensate da un maestro. Le tecniche usate sono le seguenti:
- Iṣṭadevatā: ogni praticante sceglie una propria divinità di riferimento. Essa sarà l’oggetto principale della meditazione, che viene visualizzata in ogni suo dettaglio durante la pratica.
- Maṇḍala: tale divinità occupa uno spazio sacro che ha caratteristiche specifiche: esso viene visualizzato insieme e attorno alla divinità, che ne è il centro.
- Mudrā: si tratta di gesti rituali e simbolici che hanno una valenza in quanto favoriscono l’identificazione con la divinità oggetto della meditazione. Tramite il gesto sacro si rende viva la divinità in noi.
- Pūja: quando la divinità è stata resa presente, vengono fatte offerte sacre in suo onore. La stessa devozione alla divinità è già offerta, così come la meditazione quotidiana. Nel buddhismo tantrico, la pūja non è solo esteriore ma soprattutto interiore.
- Mantra: i mantra sono delle formule sacre, a tratti considerate magiche, che permettono il praticante di entrare in una speciale relazione con la divinità. Ognuna di esse, infatti, ha uno o più mantra che la identificano. Non solo, ogni mantra racchiude un aspetto della realtà (ad esempio la compassione o la saggezza) e la sua recita ne dischiude il segreto.
- Samudācāratā: è lo stadio ultimo che porta a vivere la non-dualità, grazie all’identificazione con la divinità. Ciò permette al praticante di vivere in modo puro, come un dio.
A ben vedere, si tratta di vere e proprie tecniche psico-fisiche non tanto diverse da quelle usate in teatro e si può far rientrare questa pratica fra quelle usate da Jodorowsky nella sua Psicomagia. Grazie a queste tecniche il praticante accelera il processo di risveglio senza dover passare dalla purificazione delle impurità e l’accumulare le positività. In questo, il tantrismo buddhista, che ha diverse sotto-scuole, riprende il concetto di quello induista. Inizialmente, tra l’altro, venivano praticati anche i rituali di accoppiamento sessuale tantrico, dove si prevedeva l’ingerimento dei liqui sacri (il seme e il sangue mestruale) in senso rituale.

Tali pratiche sono poi sparite dal buddhismo per rimanere a uno stadio di mera visualizzazione. La scuola Vajrayana è diffusa in Tibet (dove vi è arrivata per ultima) tanto che i due vengono identificati (sebbene in Tibet ci siano altre forme di buddhismo) ma la troviamo anche in Giappone (Shingon), Nepal, Mongolia, parte della Cina, Bhutan, per poi diffondersi in occidente, soprattutto grazie alla fortuna del buddhismo tibetano e alla figura del Dalai Lama.
Conclusioni
Come si può vedere, il buddhismo è una realtà molto eterogenea che varia da scuola a scuola. Ma non solo, all’interno di esse ci sono miriadi di movimenti e, non essendoci un’autorità centralizzata, ogni monastero è abbastanza libero. Sono svariati i casi di sincretismo e convivenza, all’interno dello stesso monastero, di diverse scuole e correnti, anche distanti fra di loro, ma con una simile pratica monastica. Ciò che salta all’occhio è che anche il buddhismo vive di una forte tradizione che presenta regole spesso vetuste e discriminanti (specialmente nella tradizione Theravada, dove le donne e i laici hanno meno diritti e privilegi) o che abbia atteggiamenti devozionali e una visione teologica verso il Buddha del tutto simile alle religioni monoteiste.
Dire, quindi, che il buddhismo non è una religione è un falso teologico e storico. Sostenere che sia solo una filosofia di vita, una pratica in cui la compassione e la meditazione siano al centro, è sbagliato: la recita dei sutra la fa da padrone e non sono rari i casi di razzismo e violenza da parte dei buddhisti contro altre religioni (basti vedere in Myanmar). Infine, esso viene visto, dagli abitanti dei paesi a maggioranza buddhista, come una qualcosa di vecchio, retrogrado e sorpassato, un’istituzione decadente dedita solo a rituali inutili e a spillare i soldi dai devoti, esattamente come i paesi occidentali vedono il cristianesimo.
Anche il buddhismo ha subito manipolazioni, storpiature e influenze da altre religioni, nel corso dei secoli, rispetto alla dottrina originale che purtroppo non è recuperabile a causa della totale assenza di fonti contemporanee a Buddha. C’è di buono che il Buddhismo, nella sua essenza, rappresenti un approccio allo spirituale e all’essere umano rivoluzionario e all’avanguardia e che grazie a svariati movimenti contemporanei, c’è la tendenza a fare pulizia di retaggi culturali discutibili per recuperare il cuore del messaggio alla luce delle nuove conoscenze in ambito scientifico e psicologico. Si può a ragione sostenere che il buddhismo sia stata una delle prime forme di psicoanalisi.
Per un articolo sulla vita di Buddha, la storia e la diffusione del buddhismo, rimando a questo.
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