Le droghe emotive: perché siamo tutti tossici

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La dipendenza dalle emozioni negative è il comportamento più irrazionale e dannoso che l’essere umano perpetra senza soluzione di continuità. Ecco le motivazioni di questa folle autodistruzione e soprattutto i modi per uscirne.

“Costruendo la propria gabbia ognuno impara ad amarla.”

Mirko Badiale

Se c’è una situazione in cui siamo incappati tutti è quella di vivere una relazione tossica. E quando parlo di relazione non mi riferisco solamente al rapporto di coppia. Nel termine relazione entrano tutte quelle sfaccettature relative al rapporto con l’altro: amore, amicizia, relazioni familiari, lavorative, di convivenza. Ma con relazione si può intendere, per estensione, tutto ciò che riguarda l’“io” che è in rapporto con un altro diverso dall’io. Ovvero delle situazioni, degli eventi.

La cosa buffa della questione è che siamo estremamente consapevoli di cosa sta succedendo quando una persona che ci sta accanto finisce col vivere una relazione tossica: sappiamo subito riconoscere che è effettivamente una dipendenza nociva, pretendiamo di sapere cosa dovrebbe fare, come e quando. Ironia della sorte, non siamo altrettanto bravi a renderci conto quando nella trappola ci siamo caduti noi stessi e, se cercano di farcelo notare, neghiamo con tutte le nostre forze, come il bambino che ha rubato la marmellata.

Come riconoscere che in un momento della nostra vita siamo “drogati”? Cosa fare per uscire dal tunnel?

Le droghe emotive

Come si diventa “tossici”

Dipendenza dalla tossicità

In questo articolo ci limiteremo ad affrontare le dinamiche della dipendenza tossica. Riguardo al perché cadiamo in queste situazioni, ne parleremo altrove. Esaminiamo la dinamica che ci rende “schiavi” di queste relazioni tossiche: la dipendenza che abbiamo sviluppato verso di loro. Quando assumiamo sostanze nocive di qualsiasi tipo (che siano droghe, alcol, cibo spazzatura) il corpo ne viene intossicato. Inizialmente reagisce cercando di eliminare le tossine, ma quando queste non accennano a diminuire, instaura un “rapporto di convivenza” trovando un nuovo equilibrio. Nel momento in cui tali sostanze non vengono più assunte, il corpo ne “sente la mancanza” e spinge il cervello a cercarle. Un meccanismo molto simile accade per le emozioni: inizialmente le emozioni negative ci feriscono e le fuggiamo, ma quando ne siamo sopraffatti per un lungo periodo, le consideriamo come “parte di noi”, fino al punto di ricercarle quando vengono a mancare.

Così, quando “inciampiamo” nel “tossico” di turno che non aspettava altro che noi per sfogare le sue frustrazioni, di solito è già troppo tardi. Anche perché raramente questi elementi tirano fuori il peggio di loro appena li abbiamo conosciuti.

Inizialmente ci ammaliano con parole melliflue e gesti melensi. Poi lentamente, quando ormai hanno fatto breccia dentro di noi, aggiungono piccole dosi di veleno, fino a quando non si lasciano andare vomitandoci addosso il peggio di loro. Ecco che noi siamo pienamente intossicati, dipendenti da quel fiele amaro travestito da miele.

La cura fa più male della malattia

Riprendendo l’analogia precedente, quando siamo intossicati da sostanze nocive, si crea un ulteriore problema: il fumatore incallito che smette di fumare, inizia il processo di detossificazione che porta il corpo ad ammalarsi; catarri, tosse, fiato corto, raffreddori, bronchiti. Tanto da farlo arrivare a pensare che stava meglio quando fumava. Parimenti accade durante la disintossicazione dalle emozioni negative: si soffre in un modo che non riusciamo a spiegarci, bramando ciò che fino a poco prima non faceva altro che farci del male, proprio come il drogato verso la sostanza. Sappiamo che ciò che ci veniva dato ci faceva del male, non ce lo meritavamo, non era per noi, ma nonostante tutto non riusciamo a farne a meno, perché condito con quella goccia di “miele” che tanto ci inebriava. Per questo staccarci dalle relazioni tossiche è così difficile: perché il distacco ci arreca più dolore della dipendenza. Quindi preferiamo restare in quella situazione di sofferenza mista a gongolamento ebete che almeno ci fa sentire “vivi”, in un certo qual modo “amati”.

L’amor di sé

Prima di passare a fornire dei metodi per liberarsi da queste dipendenze, occorre mostrare qual è il fulcro di ogni felicità, la sorgente del benessere, il motore della pienezza: l’amore di sé. Risulta evidente, quindi, quale sia la causa di ogni male, il principio di ogni disgrazia: il non amarsi. Chi non si ama, ricercherà spasmodicamente un essere esteriore che gli dia la sensazione di essere amato. Nessuno, però, può veramente farti sentire amato se tu in primis non ti ami. Ogni volta che siamo alla ricerca di un “salvatore” o una “salvatrice”, finiamo sempre per metterci in mano a degli aguzzini. Perché non diventiamo dipendenti di persone “sane” ma esclusivamente di “carcerieri”?

Il discorso è semplice: una persona radicata, centrata, che si ama, non ha la minima voglia di creare rapporti di dipendenza con nessuno. Nemmeno nel ruolo di comando. Appena si crea una situazione del genere, la persona equilibrata la stronca sul nascere. Chi, invece, ha dei vuoti incolmabili che tende a riempire con il bisogno di sottomettere psicologicamente un altro essere umano, non aspetta altro che trovare una “vittima”. Ed ecco che si delineano in maniera più chiara, non senza generalizzare, le due figure principali delle relazioni tossiche: la vittima e il carnefice.

Il gioco della vittima e del carnefice

Non esiste un carnefice senza una vittima e non esiste una vittima senza un carnefice. Questo discorso non vuole minimamente giustificare il comportamento del carnefice: esso sarà sempre da condannare. Purtroppo molte persone, in maniera totalmente inconscia, di solito a causa di un vissuto difficile e sofferente, si considerano delle vittime della vita che è stata così ingiusta con loro e per poter tenere vivo questo “ruolo” che in qualche modo si sono scelti, hanno bisogno di una controparte che eserciti quello del carnefice. Questa predisposizione fa sì che siano alla costante ricerca di aguzzini pronti a farli sentire dei dannati. Non vedono nemmeno le persone sane, equilibrate, che magari mostrano interesse per loro. Non ne sono attratti, per quanto possano riconoscere il loro valore morale. Invece si buttano a braccia aperte nelle mani di un carnefice esperto, pronto a torturare la vittima a ogni occasione.

Si intende bene che il primo passo è capire se abbiamo in noi questa dinamica della vittima. Occorre molta umiltà per ammettere di averla sviluppata, che la portiamo dentro di noi, nascosta come un tesoro prezioso, perché nessuno mentalmente sano può anche solo concepire di desiderare di essere torturati. In realtà, abbiamo tutti in maniera più o meno sviluppata una parte autolesionista. Una volta che l’abbiamo riconosciuta, occorre accettarla. Bisogna imparare a non giudicarla per capire dove affondano le sue radici, cosa l’ha generata e di cosa si nutre, quali sono i bisogni profondi a cui tende.

Le droghe emotive

Come spezzare il cerchio della dipendenza

Nutrire i bisogni

Una volta capito che la causa di ogni dipendenza è da cercarsi in un bisogno irrisolto che con ogni probabilità si origina molto indietro nel tempo, siamo a un buon punto. L’errore più facile (e più comune) è lo stesso che si fa quando vogliamo disfarci di cattive abitudini alimentari: seguire diete rigide, imporsi regole ferree, rinunce di ogni tipo ai “piaceri” che però ci fanno tanto male. Di solito si dura poche settimane, massimo un mese o due. Poi si ricomincia a mangiare tutto ciò che, di fatto, ancora desideriamo ardentemente. Allora, cosa fare? Semplice, si cerca di nutrire i bisogni profondi. Esattamente come con la dieta.

Facciamo degli esempi pratici: se una persona di strafoga di cioccolata, è perché probabilmente ha carenza di magnesio. In quel caso si consiglia di assumerlo da altri alimenti, come i semi di girasole. Il desiderio di pane, pasta, pizza è generato dalla carenza di energia, glucosio e fibre. Meglio, quindi, mangiare frutta secca come mandorle, noci e nocciole. La voglia di cibi fritti e unti nasconde il bisogno di grassi sani (i grassi insaturi), che può essere soddisfatta mangiando avocado o cocco. Non essendo un articolo sulla nutrizione, interrompiamo qua gli esempi che servono soltanto a far capire il concetto. Allo stesso modo, infatti, bisogna comportarsi con i bisogni emotivi. La mente ci spinge a desiderare qualcosa che soddisfa un bisogno emotivo, ma che ha gravi effetti collaterali; invece di contrastare con la forza questo desiderio, trovare quel qualcosa capace di soddisfare il bisogno senza tali effetti negativi.

Metodi efficaci

Essendo il mondo emotivo estremamente più complesso di quello organico, non ci sono tabelle da seguire. Ognuno deve scoprire cosa si nasconde dietro i propri bisogni. Occorre una capacità introspettiva molto sviluppata perché noi, vivendo le cose da “dentro”, non siamo capaci di vedere con chiarezza le dinamiche del nostro inconscio. Per fortuna la vita ci aiuta mettendoci costantemente alla prova, ripetendoci la lezione fino a che non l’abbiamo capita, con la determinata pazienza di un’instancabile madre. Il ripetersi di simili eventi negativi nella nostra vita è un chiaro segnale che dobbiamo de-programmare il nostro comportamento, approccio e schema mentale verso quella determinata cosa.

Ad esempio, se troviamo tutti ragazzi stronzi che vogliono solo approfittare di una povera fanciulla indifesa, non vuol dire che siamo sfortunate, ma che probabilmente dobbiamo fortificare la nostra personalità, acuire il nostri intuito riguardo le persone, imparare a interrompere immediatamente questi rapporti tossici. Oppure, se non facciamo altro che incappare in ragazze piene di complessi alla ricerca di un salvatore su cui riversare tutte le loro patologie di donne frustrate, probabilmente non è perché abbiamo lo spirito del crocerossino, ma significa che dobbiamo rivedere l’immagine che abbiamo di noi, che di solito corrisponde a quella dell’eroe sempre pronto al sacrificio per salvare la fanciulla in pericolo tra le fauci del drago.

Tecniche di dialogo

Alla luce di ciò, i tipi di aiuto esteriori che possiamo ottenere sono molteplici. I più classici sono quelli utilizzano l’uso della parola, del dialogo. Psicologia, psicoterapia e affini sono indicati in situazioni patologiche. Altrimenti figure come il counselor o il life coach sono molto efficaci. Sono tecniche che si basano principalmente sul dialogo e, tramite domande mirate, ascolto attivo, empatia e utili consigli permettono a chi ne usufruisce di potersi specchiare nella sua guida che ha la possibilità, quindi, di mostrare loro con chiarezza i lati oscuri su cui devono portare luce, quelli deboli da rinforzare e le chiusure da aprire.

Tecniche olistiche

Per bypassare la ragione e raggiungere l’inconscio si può affidarci alle mani di un operatore olistico che, tramite tecniche di vario tipo che passano attraverso il corpo, i suoni, il movimento o altri strumenti specifici arrivano a smuovere i blocchi che si annidano nell’inconscio profondo. Shiatsu, musico-terapia, biodanza, sono solo alcuni esempi. Lo scopo è sempre lo stesso: far sì che il ricevente acquisti una centratura e radicatura in se stesso che gli permetta di superare i momenti di debolezza passo per passo. La caratteristica importante del mondo olistico è che si basa sul dare forza e nutrimento all’individuo (sia a livello fisico, energetico che psicologico ed emotivo) in modo da poter sviluppare il potere di autoguarigione che tutti, di fatto, abbiamo. Più che combattere il “male”, la “malattia”, si rafforza il bene, di modo che lentamente trasformi il lato oscuro in pura luce.

Ingrediente imprescindibile: l’apertura d’animo

Ovviamente i metodi per disintossicarsi dalle emozioni negative sono moltissimi, ma nessuno può essere efficace senza la voglia e disposizione a voler “guarire”. Allo stesso modo può bastare anche una genuina apertura d’animo accompagnata da una sostanziale determinazione e forza volontà a cambiare, anche senza un aiuto esteriore. Perché, come la maggior parte dei problemi che abbiamo, si tratta di trovare la forza di cambiare se stessi, uscire dal guscio della comfort zone (anche se tossica, è ormai per noi una zona di comfort) e mettersi in discussione.

In altre parole è accettare una piccola morte per poter rinascere con un nuovo io.  Alla fine questo sono le prove della vita, di qualsiasi modalità e tipologia: iniziazioni a una nuova esistenza. Senza questa disposizione a cambiare, a mettersi in gioco, non si potrà mai uscire dalla nostra gabbia. Questo è il fulcro di ogni crescita.

Purtroppo la nostra società ci educa a delegare agli altri il compito di guarire: andiamo dal dottore e aspettiamo che ci dia la pillola magica che ci risolve il problema. Ma non è così che funziona; non è così per le problematiche fisiche, figuriamoci per quelle emotive o psicologiche! Ogni “malattia”, malessere, squilibrio, necessita un cambiamento nella nostra vita. Se non c’è cambiamento, non c’è guarigione, mai. Al massimo si ha uno spostamento del problema.

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in Amore, Spiritualità
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