Quando la paura di perdere è più grande della perdita

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Perché ci spaventa così tanto lasciar andare situazioni, persone, cose che non sono (più) fatte per noi, tanto da permettere alla paura di rovinare la nostra vita? Esploriamo le dinamiche relative alla perdita e le vie d’uscita dal circolo doloroso che si genera.

La parola “perdita” racchiude mille significati. Restar privo di qualcosa, ma anche essere sconfitti fino all’estrema accezione della perdizione, che altro non è che la totale assenza di speranza. Questi concetti non sono separati a seconda del contesto ma si intersecano fra di loro in ogni situazione: perdere una persona non indica solo il rimanerne privi, ma anche l’aver perso la “battaglia” per tenerla a sé e sentirsi, quindi, perduti e senza speranza di rivederla. Si può quindi dire con cognizione di causa che subire una perdita è come vivere un lutto.
Ma vediamo nel dettaglio le dinamiche che stanno alla base della perdita.

Le dinamiche della perdita

“Per ritrovarsi, bisogna prima essersi perduti.”

Paura dell’ignoto

Partire è un po’ morire, dice il vecchio adagio. Ma lo è anche per chi rimane. La vita cambia per entrambi, siamo costretti a trovare nuovi equilibri. Si entra in un dominio che ha il sapore dell’ignoto, dello sconosciuto, del non sperimentato. E questo fa paura. C’è sempre del timore in ciò che è nuovo. Il che non è che sia necessariamente un male, anzi: la prudenza è auspicabile nell’esplorazione di un territorio inesplorato. Il problema si crea quando questa prudenza diventa fobia dell’ignoto, tanto da farci rimanere inchiodati in situazioni per noi tossiche.

Preferiamo la nostra stanzetta con l’aria stantia e puzzolente, ma che conosciamo nel minimo dettaglio, ad aprire la porta, uscire e respirare l’aria fresca della prateria sconfinata che ci circonda, perché non sappiamo cosa vi si nasconda.

“Se non lo conosci, uccidilo!” si leggeva in una vecchia vignetta. La paura di ciò che non conosciamo ci spinge spesso ad azioni estreme e irrazionali per difenderci dalla possibilità di essere feriti. Invece di pensare alla novità come un potenziale positivo da cui attingere succose opportunità, preferiamo pensare al peggio, come se l’ignoto possa solo nascondere pericoli, sofferenza, dolore.

In definitiva abbiamo paura di perdere ciò che conosciamo, che ci dà sicurezza, che rispecchia la nostra comfort zone, a discapito del nuovo, dello sconosciuto, che può avere potenziale positivo, ma ci costringe a uscire da noi stessi, a fare uno sforzo oltre i nostri limiti.

Mania di controllo

Una delle tendenze tipiche dell’uomo moderno è quella di avere tutto sotto controllo. Ogni cosa deve essere al suo posto, come l’abbiamo pensata e decisa noi. Questo ci rende tranquilli e ci fa dormire la notte. Non siamo più abituati a lasciare che le cose accadano seguendo la loro natura, qualsiasi essa sia. A vivere tenendo una porta aperta agli imprevisti, contemplandone l’esistenza come di un qualcosa che fa parte della vita. Ciò succede perché se permettiamo alle situazioni di sconvolgerci la realtà, cose del tipo essere poco produttivi a lavoro, non avere attenzione ai rapporti familiari, sgarrare la dieta, veniamo giudicati dagli altri, a volte anche in modo da compromettere le relazioni.

Questa costante pressione esercitata dalla società su di noi, ci spinge a far sì che tutto segua delle determinate linee. Quando la vita ci porta fuori da queste linee, entriamo in crisi. Lo stesso accade nella situazioni di perdita: abbiamo un compagno, una compagna, e questi improvvisamente ci lascia, rompendo questo “progetto” che avevamo in testa sulla nostra vita. Passiamo da una situazione di controllo a una di sbando. Questa “sclerosi” mentale sulla fissità della realtà ci rende impossibile accettare il cambiamento. Semplicemente quello che è successo non doveva succedere, non faceva parte del piano, non era contemplato. Lo rifiutiamo, come se fossimo noi i totali artefici della nostra vita.

In definitiva abbiamo la tendenza a pianificare la nostra vita per filo e per segno, e ci sentiamo, appunto, persi quando questi piani vengono mandati all’aria.

Trattenere

Sebbene razionalmente sappiamo che la perdita è qualcosa di irreversibile su cui non abbiamo potere, o quasi, continuiamo a soffrire. A volte anche per anni. Questo accade perché continuiamo a “possedere” tale oggetto (che sia una persona, una situazione o un’emozione) nella nostra mente. Si crea una discrepanza fra le realtà (l’assenza dell’oggetto) e ciò che desideriamo ardentemente. Tale non accettazione di ciò che è, ci fa vivere in questo costante senso di privazione di qualcosa. Quindi anche quando abbiamo perso effettivamente il nostro “oggetto”, in un certo qual modo continuiamo a trattenerlo. Insistiamo nel programmare la nostra vita come se quella persona ci fosse ancora, soprattutto nelle azioni quotidiane.

Facciamo ruotare la nostra vita intorno a qualcosa che di fatto non c’è più, nella speranza che il posto che gli abbiamo lasciato verrà nuovamente riempito da questo qualcosa che tanto ci manca. Abbiamo paura a disfarci di beni posseduti da chi ci ha lasciato, come se le facessimo un torto a farlo. Non intraprendiamo una nuova carriera, sperando che il lavoro perso ci venga miracolosamente reso. Continuiamo a dare energia a qualcosa che non c’è più e questo vuoto che alberga al suo posto è come un pozzo senza fondo che non potrà mai essere riempito. Nonostante ciò, questo “fantasma” a cui ci aggrappiamo ci fa sentire sicuri, amati, ci riporta a momenti di felicità, benessere. Per questo lo continuiamo a nutrire incessantemente.

Ci sono persone che vivono costantemente proiettate al passato, in un’era della loro vita in cui tutto era più bello, più felice, migliore. E anche se il loro corpo cresce e invecchia, le persone intorno cambiano, la vita scorre, loro non riescono a mollare quel periodo “mitico” della loro esistenza impedendo al presente di riversare in loro tutti quei magnifici doni che porta con sé.

Ricapitolando

Tirando le somme del discorso, la perdita innesca i seguenti eventi:

  1. ci proietta nel mondo dell’ignoto,
  2. perdiamo il controllo della situazione,
  3. tratteniamo l’oggetto nella nostra mente.
La paura della perdita

Come affrontare la perdita

Proprio come la morte, la perdita è inevitabile. Prima o poi le persone se ne vanno, i figli lasciano la casa materna, i matrimoni falliscono, i lavori si perdono e le amicizie cambiano. Il primo passo è accettare che siamo in uno stato di “lutto”. La perdita, qualsiasi essa sia, genera sempre una “morte” interiore. Ammettere che stiamo soffrendo, che quella data persona ci manca, che avremmo tanto voluto fare carriera in quell’azienda, è un passo fondamentale. Senza questo, non possiamo andare avanti nel processo di “guarigione”. Secondariamente, occorre capire che non basta la ragione per affrontare questa situazione. La mente razionale ha un minimo potere su quella inconscia. Ripetersi costantemente che questa sofferenza non ha senso, che tanto tutto passerà, cercare di convincersi che le cose ormai sono come sono, è totalmente inefficace. Allora, cosa fare? Ecco una lista di tecniche utili.

Il mondo olistico

Le tecniche olistiche offrono un’ampia scelta di metodi per affrontare problematiche di ogni tipo. Ne elenchiamo solo alcune.

La meditazione è sicuramente uno strumento efficace per sviluppare l’introspezione e imparare ad acquietare i pensieri. Entrando in profondità dentro l’inconscio si permette a ciò che vi alberga di manifestarsi e quindi di essere ascoltato e capito.

Lo shiatsu e la medicina cinese, lavorando sui meridiani energetici e le relative funzioni, può essere un utile strumento per affrontare la perdita. Infatti, i meridiani di Polmone e Intestino Crasso, legati alla Fase del Metallo, si occupano dello scambio fra l’ambiente interno e quello esterno del corpo. Ovvero, permettono l’eliminazione di ciò che non serve più, facendo così spazio al nuovo. Un bravo operatore saprà sicuramente come trattarvi a riguardo.

Lo yoga aiuta a radicarsi ed essere centrati. Questo permette di focalizzare la mente e l’attenzione su ciò che veramente è, lasciando andare i pensieri e le paure che distorcono la realtà del qui ed ora. Lo yoga è una disciplina antichissima che, prima ancora di lavorare sul corpo, lavora sulla mente, le emozioni tramite l’automassaggio ghiandolare.

Chiedere aiuto

Non c’è niente di sbagliato nell’ammettere di aver bisogno di aiuto. Le figure professionali adatte a superare una perdita sono molteplici. Dipende ovviamente dall’entità del “problema”. Per situazioni più gravi è caldamente consigliato l’accompagnamento psicologico e psicoterapeutico. In situazioni in cui la persona ha bisogno più che altro di un motivatore, la figura del life coach risulta perfetta. Se invece si ha più bisogno di essere ascoltati e di creare un legame empatico, si consiglia il counseling. Ma a volta basta anche solo aprirsi totalmente con un caro amico o amica e lasciare uscire tutte le emozioni che ci portiamo dentro.

Ricreare un nuovo equilibrio

Ciò che è palese in seguito a una perdita è che necessitiamo di trovare un nuovo centro. Parte del nostro intimo essere è stata sconvolta e questo ha bisogno di ridefinire se stesso. Il primo passo è accogliere questo vuoto che tanto ci tormenta, dargli voce, spazio. Fare gesti concreti per uscire dalla routine quotidiana e mentale, gesti che segnano la fine di un’era e l’inizio di una nuova, per sancire la chiusura di un capitolo. Questi gesti possono essere qualsiasi cosa, basta che abbiano un significato profondo per noi: donare gli abiti della persona cara che ci ha lasciato, scrivere una lettera e poi bruciarla, fare un viaggio in un paese lontano, fare un lavacro rituale al mare al tramonto… Tutto ciò che sigilli una chiusura e un nuovo inizio. Uno dei più gravi problemi della società moderna è quello di aver perso i rituali fondamentali per gli importanti passaggi della vita. Sono piccole iniziazioni che ci permettono di affrontare questi cambiamenti nel modo migliore. Ma noi possiamo creare i nostri piccoli rituali che ci permettano di attraversare i cancelli dell’esistenza come ospiti attesi, e non come intrusi erranti.

Concludendo

La perdita non è mai una perdita, è sempre un guadagno. Ci viene proposto di guardare la vita da un punto di vista diverso e di continuarne a gioire. Quando siamo accecati dalla sofferenza o dalla paura, diventando incapaci di vedere il dono che ci è stato fatto, abbiamo bisogno di essere aiutati. A capire che il nuovo non è necessariamente “male”, che non possiamo controllare la nostra vita in modo assoluto e che dobbiamo permettere alla vita di fare il suo percorso: alle persone di andare, alla situazioni di cambiare, al passato di cessare di esistere.

Il concetto stesso di perdita implica quello di possesso: ma il vivere non si basa sull’avere, bensì sull’essere ed esso non contempla nessuna perdita. Tutto scorre in un flusso costante e armonioso, un’eterna danza il cui cardine è quello della trasformazione, del mutamento. La musica ha un tempo forte e uno debole, sapersi muovere in accordo con essi è danzare in sintonia con l’essenza stessa della vita.

L’aiuto di cui abbiamo bisogno per imparare a danzare può venire da una persona esterna, un professionista o un amico, può venire da una tecnica olistica, o da un rituale che segna la chiusura di un’era, aprendone un’altra. Quello che è importante è capire che la felicità non viene negata a nessuno. Mai.

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